Tagliatelle ai funghi

È una vita che mi accusano di essere arrogante, di sentirmi dio e di credermi stocazzo.
Ma la verità è un’altra, signori.
Anzi, le verità sono due.
Innanzitutto non sono io ad essere un fottuto genio, ma sono loro ad avere le sinapsi assenti. Inoltre possediamo un vocabolario molto vasto che può essere utilizzato per raccontarci meglio chi siamo, come siamo e perché. Tiriamo dunque fuori dal cappello la parola giusta. E quella parola è misantropia.

Non te l’aspettavi, eh?

Sì, io sono misantropa.
E lo sono sempre stata. Da quando mi ricordo ho ascoltato le esternazioni della ggggente e mi sono sempre chiesta da dove potessero uscire quelle perle di minchionaggine così elaborate.
C’era una carenza di cervelli? Una zombificazione in corso? Colpa della tv, dei videogiochi, di mia nonna?

La zombificazione può essere combattuta solo così. Quasi quasi vado a creare una mazza chiodata e poi vi metto il tutorial.

Il problema è che le persone non ci credono, perché non hanno mica capito cosa sia, un misantropo. Pensano che sia un tipo asociale, che insulta tutti, che non è in grado di comportarsi con gli altri.
Per loro è un misto tra un cagacazzi alla Dottor House ed un sociopatico alla Maniac, con i manichini nel letto e chissà quale turbe terrificanti nella testa.

Il classico passatempo di un misantropo.

Invece no. Il misantropo si fa allegramente i cazzi suoi e vorrebbe tanto che la folla ricambiasse il favore. Il misantropo sa che la maggioranza delle persone è vittima di un deficit intellettivo e sa che questo deficit è frutto di un impegno costante. Individui che non hanno alcuna intenzione di comprendere che il mondo è pieno di contraddizioni, di distinguo, di collegamenti. Molti non comprendono neppure la lingua corrente e difettano nel tradurre concetti, messaggi, fatti. Nonostante ciò coltivano con cura un ego  tanto smisurato quanto vuoto di contenuti.
Ecco cosa pensa il misantropo quando ti sorride e cerca di svincolarsi per tornare a casa.
La chiave sta tutta lì: lui ti sorride.

Ma dentro è così.

Non cerca la lite, né sente il bisogno di correggere gli altri: vuole essere lasciato in pace. I deficienti hanno ereditato la terra, va bene, il misantropo lo accetta. Però potete almeno lasciarmi in pace, chiede? Potete lasciarmi perdere? Potete smettere di inondarmi con le vostre immense stronzate di saggezza?

No. Loro non possono.
Così il misantropo, dopo un po’, si ritrova a dare delle rispostacce. Perché non sopporta più domande, consigli, frasi a caso, giudizi. Non tollera più il suono della loro voce. Le loro conclusioni assurde su fatti non sussistenti.

Ecco.

Nonostante tutto, il misantropo non rifugge le relazioni. Ci prova a cercare qualcuno che non gli metta addosso quelle sensazioni di schifo, tedio ed orrore. Che non gli faccia crescere la carogna sulle spalle. A volte ci riesce pure.
Il misantropo non vive i rapporti interpersonali come fossero un problema: semplicemente depenna subito. Perché è conscio del fatto che la prima minchiata è solo l’inizio di una lunga, lunghissima serie di troiate inenarrabili. Lo sapeva a 12 anni, lo sa meglio a 65.
Il misantropo non cambierà idea.
Il misantropo non è come vorresti che fosse.
Per te c’è tutto il resto del mondo, non ti basta?
Devi per forza scassare l’anima a chi vive in solitudine ed è contento così?

Ecco.

Perché si può essere soddisfatti (non dico felici, ma questo è un altro discorso) pure se si è diversi da te. Ti sembrerà INCREDIBILE ma così è.

Quindi ogni volta che scrivi un commento stronzata, sappi che il misantropo è lì che si chiede Ma perché. Cos’ho fatto di male. Ma porcodio sul serio. Che spreco d’aria. 

Sempre in modo teatrale.

Tra le tante minchiate, oggi ne citeremo una da foodblogger: PREPAREREMO LE TAGLIATELLE AI FUNGHI COME AL RISTORANTE, CON TRUCCO!!!!111!!

Cioè?
Tagliatelle scotte, sei chili di panna e 3 funghi e mezzo? E CHE SIANO PORCINI, mi raccomando.
Scusate, ma se volevo mangiare di merda mi compravo direttamente 4 salti in padella o telefonavo a Giovanni Rana, vi pare?

Quindi oggi avrai dosi reali e sì, la panna la useremo perché ho provato senza e più che tagliatelle ai funghi erano tagliatelle alla noia, però quel tanto che basta per.
Go, go, go!

Non fatelo. Venite a mangiare da Pizzakaiju. Basta che state zitti.

Per preparare delle tagliatelle ai funghi, per due persone, hai bisogno di:

  • Tagliatelle che puoi costruire con questo procedimento qui. Ti serviranno 200 grammi di farina 00 e 2 uova, a temperatura ambiente;
  • 500 grammi di funghi freschi. Non di meno. Se vuoi puoi arrivare a 600, se proprio c’hai una voglia di funghi che levati. E funghi freschi: non surgelati che sanno d’un cazzo e manco quelli secchi che sanno di brodo;
  • 10 grammi d’olio;
  • uno spicchio d’aglio;
  • prezzemolo e pepe;
  • 150 grammi di panna fresca. FRESCA e non confezionata (che manco è panna, tanto per ripetere l’ovvio anche oggi). Se vuoi puoi arrivare anche a 200 grammi, a seconda del grado di cremosità che vuoi raggiungere;
  • 40 grammi di parmigiano.

Inizia preparando la tagliatelle con questo procedimento qui. 
Ricordati sempre che l’impasto deve riposare 30 minuti, quindi regolati.

Poi passiamo ai funghi.
Non sono Azzurro di Funghi, ma da quel che ne so alcune tipologie si possono sciacquare sotto l’acqua ed altre no.
Io ho usato gli champignon e mi sono limitata a togliere con un coltello la parte terrosa.
Poi li ho tagliati a pezzetti.

Metti l’acqua della pasta a bollire.
In una padella versa 10 grammi d’olio e mettici uno spicchio d’aglio intero ma scamiciato.
Dobbiamo dorare l’aglio e poi toglierlo, quindi solito sistema: inclina la padella in modo di avere l’olio tutto in un punto e fai soffriggere l’aglio così.

Quando è bello colorato, levalo con una pinza.
Caccia ora i funghi.

Aggiungi sale, un po’ di prezzemolo e poi chiudi col coperchio.
Fai andare a fiamma medio bassa per una decina di minuti: vedrai i funghi perdere parecchio di volume e rilasceranno anche del liquido che li aiuterà nella cottura (per questo mettiamo il coperchio, così facciamo evaporare quel prezioso liquido più tardi possibile).
Eccoli alla fine del loro viaggio:

Spegni la fiamma, assaggia ed aggiungi il sale se occorre. Grattugia il parmigiano ed attendiamo le tagliatelle.
La pasta fresca (quella di Pizzakaiju, perché in tutti gli altri siti pare che non sia così e boh, cazzi loro) impiega pochissimo a cuocere. In questo caso dobbiamo solo immergerla e toglierla, per liberarla dalla farina in eccesso.
Immergi, conta fino a dieci e mentre lo fai sbrogliala con una pinza o forchettone, poi scolala e cacciala in padella. Fai andare per 30 secondi la pasta, poi spegni o tieni comunque una fiamma molto, molto bassa.

Caccia dentro i 20 grammi di parmigiano e versa la panna fresca. 100 grammi.

La panna fresca comincerà a sobbollire dopo poco e si addenserà. Tu mescola il tutto per tutta l’operazione e controlla la panna: deve ritirarsi senza seccarsi. Ci vorrà davvero poco, pochi secondi.
Ecco una foto per mostrarti il liquido conclusivo:

Ora prepara i piatti e spolvera ogni porzione con pepe e prezzemolo e, se vuoi (e te lo consiglio) 25 grammi di panna. Infine il parmigiano rimasto.
Ecco cosa dovresti avere davanti, prima dell’arrivo del formaggio:

Ciao e buon appetito!

Risotto cacio e pepe

Mi sembra di intuire che le cosa non sia chiarissima, quindi la scrivo e basta e chi vuole andare a fanculo (o mandarmici, anche) che vada. Stai pronto perché sto per lanciare la bomba atomica: a me le persone non piacciono.

Ma per niente proprio, anzi, mi scatenano la viulenza esagerata.

E no, non è una roba che prima o poi cambierà o che scaturisce da chissà quale delusione: è sempre stato così e – a questo punto posso affermarlo con sicurezza – sarà sempre così.
Da quando esisto non ho mai compreso come ci si potesse rapportare con un branco di imbecilli. Tutti a ripetere frasi a caso, tutti a coltivare nulla a parte pregiudizi e preconcetti, tutti privi di passatempi, curiosità, sinapsi attive.
I miei compagni delle elementari erano dei perfetti dementi e col tempo, per quanto posso vedere dalle loro profonde conversazioni su facebook e dintorni, sono solo cresciuti in altezza o in larghezza. Per il resto, stessa storia, stesso posto e stesso bar.

Inframezzo musicale.

Per tutta la vita sono state due le cose che mi hanno ripetuto, in maniera quasi ossessiva. Anzi, tre.
Che sono un genio o super intelligente o super minchia qualcosa.
Che mi sento Dio.
Sempre gli stessi lì sopra, una volta scoperto che il mio nome di battesimo è Alice, subito pronti a rispondere Alice, nel paese delle meraviglie? 
E giù tutti a ridere.

Robe da tenersi la pancia, proprio.

Per un po’ ci ho creduto pure io, alla roba del genio. Col passare del tempo, però, il mio punto di vista è cambiato radicalmente: non sono io ad essere intelligente, sono loro a non usare un neurone manco per sbaglio.
Così l’ego si è ridimensionato e pure tanto. Non credo di essere migliore di nessuno, soltanto so di essere una persona mediocre che però cerca di utilizzare la materia cerebrale al meglio delle possibilità. Per quel che vale.

No, giuro, ci provo fortissimo.

Ho smesso anche di domandarmi il motivo dell’inutilità altrui. Ebbene sì, lo penso: gli altri sono inutili.
Ormai non mi interessa più.
Sono semplicemente rassegnata a dovermi rapportare con loro, sperando di doverlo fare il meno possibile.

Quando nella rete (perché nella realtà è sempre meno plausibile, dato che vivo isolata in piena campagna) incontro qualche individuo che mi pare meritevole, la mia massima interazione è guardarlo da lontano. Seguo quello che fa, se occorre lascio un commento di approvazione. Ma per il resto, silenzio. Non so dire se la ragione sia una certa stanchezza generica nei rapporti umani (a.k.a. non mi interessano più) o se sia perché non credo di poter regalare niente. Si tratta di una persona intelligente, quindi avrà senz’altro miliardi di input da seguire. Non c’è bisogno di me.

Però la domanda sorge spontanea: perché usare così tanto i social se detesti la gggggente? Perché condividere così tanto delle mie giornate su Instagram (e prima su Facebook e da sempre un po’ ovunque) se poi quasi ogni interazione mi fa girare il cazzo?

Interazioni che di solito sono contraddistinte da domande coglione su robe EVIDENTI.

Voglio dire: c’era bisogno di chiedere?

Risposta: per la pappa.
C’era un tempo in cui scrivevo i fatti miei, inventavo storie o sentivo la necessità di condividere i miei pensieri su temi politico-sociali. Adesso fottesega e non ne ho mezza di leggere gli stimolantissimi commenti che le teste di merda sentono il bisogno di lasciare. Non sono un divulgatore, non c’è motivo di parlare di temi interessanti solo per evidenziare il proprio punto di vista. A volte, nei video, parlo giusto di alimentazione. Ma perché sempre di pappa di tratta.

Una cosa so fare. Mangiare.

Autoritratto.

Pensavo anche di saper cucinare, ma quello in effetti lo sto imparando solo da quando ho aperto il blog.
Mi piacerebbe che altri potessero smettere di mangiare merda seguendo le mie ricette, scritte pensando ad un bambino di dieci anni che per la prima volta vuole provare a preparare un piatto di pasta. Senza averlo mai visto fare. Tipo che non sa manco mettere l’acqua a bollire.

Quindi accetto un po’ di socialità per pubblicizzare questo mio spazio, in cui fottesega della tradizione o delle regole culinarie di alto livello. Qui si mangia, al meglio delle nostre possibilità, imparando ad ogni post.

Basta mangiare cose a caso.

Tutto questo per sfogarmi, perché ricevere commenti, direct e via dicendo mi stressa molto e risponderei Vaffanculo a tutti. Probabilmente anche a te.
Tuttavia è a te che voglio consegnare l’ennesima ricetta di oggi e mi rendo conto che c’è una certa dicotomia tra intenzione e carattere personale.
Ma è così ed era ora di scriverlo in maniera non fraintendibile.

E di tutto il resto, pure.

Passiamo al risotto di oggi. Perché, cristodioelamadonna, da quando ho cambiato la cucina – ed ormai sono passati almeno due mesi – non sono più riuscita a cucinarne uno decente. Anzi, ti dirò di più: per circa 2 settimane ho sempre mangiato pasta scotta, perché regolarsi con i nuovi fuochi non è stato facile.
Ieri, finalmente, sono riuscita a creare un risotto cacio e pepe non solo mangiabile, ma proprio MONDIALE.
Quindi scatta subito la ricetta.
Go, go, go!

Tutti ai posti di combattimento!

Per preparare un risotto cacio e pepe, per due persone, hai bisogno di:

  • 200 grammi di riso carnaroli;
  • 100 grammi di pecorino romano;
  • 10 grammi di pepe nero in grani + una spolverata ulteriore da mettere sui piatti;
  • un litro e mezzo di brodo vegetale. Se usi il dado (e non vedo perché no), 3 dadi per un litro e mezzo d’acqua;
  • 25 grammi di burro.

È un risotto proprio base, quindi ripasseremo le regole da capo, quasi si trattasse di un tutorial (nonostante non ci sia presenza di cipolla né di vino).

Comincia preparando il brodo vegetale e grattando a polvere 100 grammi di pecorino romano.
Metti poi i 10 grammi di pepe nero in un mixerino (se possiedi un trita spezie, anche meglio) per tritarlo in maniera molto grossolana.

Se hai giocato a Lupo Solitario dal primo volume e possiedi sia la Spada del Sole che Mortaio e Pestello (a patto che tu sia specializzato in Alchimia) l’operazione ti verrà più semplice: con Mortaio e Pestello otterrai un risultato senz’altro migliore.
Comunque, ecco cosa devi raggiungere:

Il brodo è pronto? Ottimo.
Tienilo in caldo (deve sempre bollire), spostandolo nella fiamma più piccola che hai. Chiuso col coperchio, altrimenti evapora. 

Iniziamo a tostare il riso.
La tostatura, per essere reale e non un termine usato a cazzo, deve essere fatta senza grassi. Senza burro e – soprattutto – senza olio. Quando tosti il pane mica li usi, no? Quindi manco per il riso.

Metti la pentola in una fiamma che non vada a cannone: non è un’operazione violenta. Fiamma bassa, fornello non potentissimo.
Dopo circa un minuto la pentola dovrebbe essere sufficientemente calda, quindi versa dentro riso e pepe.

Fai andare il tutto per tre minuti, girando di continuo e sempre a fiamma più bassa possibile. Sentirai soprattutto gli odori cambiare: sia quello del pepe che quello del riso. È possibile che il riso si scurisca leggermente, ma attenzione a non farlo bruciare.
Esauriti i tre minuti, ricopri il riso col brodo e partiamo con la preparazione del risotto vero e proprio.

Inizia coprendolo in maniera abbondante (brodo che superi di un dito il riso) ed ogni tanto gira. Mano a mano che il brodo verrà assorbito, aggiungine altro, con mestolate sempre più piccole con l’avanzare della cottura.
Il brodo deve sempre bollire, ma non in maniera superviolenta.

I tempi indicati sulla confezione del riso, di solito, sono sbagliati e chi dice il contrario è un millantatore. L’unico modo per sapere se il risotto è pronto è quello dell’esperienza: assaggia ogni tanto. Il riso non deve essere al dente e non basta che sia morbido. Lo vedrai gonfiarsi e cambiare forma ed anche al primo rigonfiamento non sarà ancora arrivato: dovrai lasciargli il tempo di rilasciare l’amido che servirà a formare la cremosità.

Il riso che compro io (il Curtiriso) dichiara 15 minuti di cottura, ma quasi sempre io raggiungo quasi il doppio.

A fine cottura il risotto non dovrà essere super secco, poiché un po’ di brodo serve anche a fiamma spenta. Però, francamente, la consistenza va a gusto (e fanculo all’onda). A me piace un risotto più compatto, meno brodoso.

Ecco come compare alla fine:

Spegni la fiamma.
Caccia dentro 25 grammi di burro e tutto il pecorino.

Gira con un cucchiaio di legno in maniera energica. Burro e formaggio devono completamente sciogliersi.
Lascia poi riposare il riso per almeno tre minuti. Io non metto mai il coperchio durante questa fase, così il vapore se ne va a fanculo, formando un riso più compatto.

A questo punto prepara le porzioni e su ogni piatto spolvera con del pepe nero macinato al momento: non serve per pepare, ha proprio un altro gusto rispetto a quello che ha bollito nel riso.
Ecco cosa dovresti avere davanti:

Ciao e buon appetito!