Cotolette di melanzane fritte.

Ho dovuto fermarmi. Mi stavo allenando, cercavo di sudare, di far scattare l’adrenalina. Di raggiungere quel qualcosa che non so, ma che ogni mattina mi accende il cervello e a volte – come oggi – me lo spappola.
L’unico momento di pace che vivo è all’alba. Alle cinque, silenzio assoluto, il gatto che entra, mangia i croccantini ed io lì, che mi scaldo il caffè.
Cerco di allungare il momento del risveglio più possibile, di dilatarlo, di respirare il silenzio. Soprattutto il mio, di silenzio.
L’orologio però non si ferma e dopo un tempo che il mio corpo considera ragionevole (quel tempo che mi concede prima di accendere la spia dell’ansia, perché la giornata è sempre troppo breve) mi tocca alzarmi.
Palestra. Spesa. Non pensare. Non pensare. Non pensare.
#video gamers from Retro Game Lovers

Occupa ogni secondo possibile, sii frenetico, non pensare non pensare non pensare

Prima dell’era dell’internet ti si raggelava il cuore. Ha ragione Roberto Mercadini, in questo video per me bellissimo.
È piuttosto ironico che faccia video comici quando nella mia testa regna più che altro confusione ed una sorta di brighter discontent. Lo scrivo in inglese non perché fa più figo, ma perché in italiano non rende: insoddisfazione gioiosa, ma che può essere pure insoddisfazione intensa. Insomma, un gioco di parole che ci metto troppo tempo a spiegare ed il concetto, nel frattempo, se ne è andato a fanculo.
È diverso tempo che non sto bene ed è difficile scrivere (scriverMI) quando ormai so che in molti mi leggono. Non è più un tempo dedicato solo a me e non è un male. Ricevo molte righe di affetto, quel raggerlarsi del cuore a volte si mitiga un po’.
Devo cambiare. In realtà cambio un po’ ogni giorno e riconoscersi in quello che c’è intorno è via via sempre più difficile.
#jokeredit from gwen's edits.

Ed ogni giorno tendo a ridere tragicamente. Sì, Joker è diventato uno dei miei film preferiti.

Chi si ferma è perduto, gli ultimi saranno i primi, nessuno può mettere baby in un angolo.
Frasi fatte si formano nella mia testa, frasi che non hanno alcun senso compiuto.
Ogni tanto torna quel monologo di Bifo, quello sull’importanza di capire che sì, lo Tsunami ci travolgerà tutti e che bisogna trovare qualcosa (QUALSIASI COSA) da dire, pensare, vestire prima di essere spazzati via.
Mi rendo conto di attendere quell’Onda Grande da tempo immemore, di stare sulla spiaggia a vederla arrivare. Lentamente, inesorabilmente. Quanti avverbi.Una delle regole della scrittura è proprio quella di non usarne tanti, di avverbi. Sono una scorciatoia per evitare di usare le parole, per non mettere mano all’immenso vocabolario e gestire i pensieri. Però oggi mi vengono comodi. Oggi devo solo muovere le dita, non mi interessa la forma.
#this virus has gone too far from A TOTAL KARMA COMPRESSOR SYSTEM NAMED GARLAND

Perché oggi non ne posso più.

Non mi sono svegliata all’improvviso in una Wasteland emotiva. È stato un tragitto che ho seguito passo passo. Ho segnato la mappa precisa di ogni svolta, di ogni deviazione, lago, mare, incrocio incontrato. Ora che mi sono fermata, ora che cerco di trovare pace seduta su questa sedia, davanti a questo computer, con miei organi interni attorcigliati dall’angoscia, ora però non voglio più proseguire.
Forse bisogna tornare indietro.
Forse bisogna buttarsi da qualche parte.
Forse.

#morgan jones from we are the walking dead

Morgan non mi sembra convinto. E se non è convinto lui, non c’è via dì uscita.

Prima dell’internet ci si raggelava il cuore. 
Ora ho i mezzi per cercare una soluzione intima, singola. Ho sempre rivestito troppo nel ruolo dell’Altro, come se esistesse una comprensione esterna a quella proprio. No. Quello che fai è regalare le istruzioni precise (tipo IKEA) a qualcuno scelto dal mucchio, per sincronie strane e spesso casuali. Ma quelle istruzioni sono falsate e spesso manco tu sai che cazzo sei.
Io non so chi cazzo sono. Che cazzo sono. Perché cazzo sono.

Due giorni fa mi è stata posta una domanda. Una domanda che ha avuto su di me due reazioni primarie.
La domanda, uscita dal quasi nulla da una persona a cui sto imparando a (scegliere un verbo casuale, perché non so cosa sto facendo manco in quel caso) era: Perché combatti col cibo?

#90scartoons from 90s Cartoons

Rappresentazione chiara delle mie abbuffate compulsive.

Erano tipo le due di notte, era stata fatta quasi come dimostrazione di un discorso più ampio, ed io tra un po’ cado dal letto.
La scelta delle parole mi ha colpito in maniera profonda: questa persona, pur non conoscendomi molto, non ha avuto dubbi che ci fosse una guerra tra me e la roba che ingurgito. Non c’era nessun preambolo di cortesia, solo un quesito lanciato come una bomba a mano.
In un altro momento della mia esistenza avrei caricato quella sua intuizione di profondo significato. Ah, come mi capisce. Ah, sono meno sola.
Invece in quel momento mi sono sentita solo vulnerabile, cristallina per chiunque tranne che per me stessa.
#dwedit from winter is here

Eh, a quanto pare sono solo io che non mi vedo, quindi inutile che fai il figo.

Perché poi non ho mica saputo rispondere alla domanda. Ed è questo che mi ha colpito forse ancora di più: nonostante viva di seghe mentali, a questa domanda non c’è più risposta. Le risposte che ho dato erano fittizie: risalivano alla notte dei tempi, alle cause primarie, a cose accadute LETTERALMENTE (ah, un altro avverbio) nel 1992.
Siamo nel 2020.
È tempo di dare risposte nuove a domande vecchie. È tempo di affrontare l’oggi non come un’eterna stasi del cazzo, un’attesa di quell’onda definitiva (quella Grande), un’attesa di un apocalittico Godot.
Come, non so.
Ci sto lavorando.
Ma ora parliamo un attimo di melanzane.
Pensavo fosse una roba da Capitan Ovvio, ma a quanto pare no, quindi ripassiamo le basi.
E la base è una: le Melanzane sono delle grande stronze. 

Pausa Ludica.

Questo perché sono cariche d’acqua e non puoi trattarle come tutte le altre verdure. Se le friggi, si ammollano. Se le fai nel sugo, succhiano tutto il liquido e devi caricare d’olio (oltre che d’odio).
L’unica soluzione è prendersi un po’ di tempo e farle spurgare. Che è una parola di merda, lo so, ma così si dice e non è colpa mia.

In cosa consiste? Metti un po’ di sale sopra, le fai riposare per un paio d’ore con anche un peso sopra per aumentare la pressione e dalla melanzana esce acqua. Poi dopo quest’operazione puoi anche pensare di strizzarle anche un po’, ma già il semplice far uscire l’acqua è un grosso passo avanti.

Non avevo mai fatto la prova di friggere una melanzana senza farle uscire il sale, ma questa volta mi sono tolta la curiosità. E c’è una differenza abissale.

#Filmedit from Classichorrorblog

Lo so, sono notizie sconvolgenti.

Le melanzane che hanno spurgato sono venute perfette: croccanti fuori, morbide dentro, non oliose.
Quelle che non hanno spurgato, invece, erano molto inferiori e si sono pure comportate diversamente durante la cottura: l’acqua è fuoriuscita, l’olio ha iniziato a sputare, ha calato di temperatura. Il risultato finale erano delle melanzane spugnose, anche se croccanti.
Ma questo perché io so friggere, che discorsi.

#trekedit from nyotas

Grasse risate.

Quindi ripassiamo le basi della frittura che no, non ha bisogno di un termometro e di una friggitrice. Se ce li hai ti semplificano la vita, ma la frittura ha bisogno solo di quello che possiedi già naturalmente: occhi e udito. 
La prontezza della pappa si vede e basta, devi osservare il colore della panatura. E no, la panatura non sarà abbronzatissima o pallidina se l’olio è e temperatura, le cose vanno come devono andare.
E l’olio è a temperatura quando lo vedi friggere in maniera decisa ma non a cannone. Lo so che non ti sembrano indicazioni salienti (e non lo sono, non sono scientifiche e noi siamo abituati a misurare pure il sale, quindi mi rendo conto che l’improvvisazione non è il nostro forte), ma dopo un paio di volte che friggi, te ne rendi conto.

Infine bisogna far riposare la frittura in maniera decente: mai addossare la roba fritta una sull’altra. Metti ogni pezzo ben distanziato uno dall’altro, sopra della carta assorbente. La carta assorbente va cambiata diverse volte, finché il cibo sarà non più unto. Se quando mangi le tue mani sono inondate d’olio, la tua frittura fa cagare.

#godzilla from Kinasin Land

Inutile che t’incazzi, qualcuno doveva pur dirtelo.

Lo so, è il post più lungo del mondo.
Passiamo alla ricetta.

Go, go, go!

Per preparare delle cotolette di melanzane fritte, per due persone, hai bisogno di:

  • 600 grammi di melanzane. Quelle ciccione;
  • olio extra vergine di oliva per friggere. Vuoi usare un altro olio? Libero. Però sappi che è più difficile perché si brucia più facilmente (e pure meno digeribile, ma quello dipende dallo stomaco). È una frittura ad immersione, io ne ho usato almeno mezzo litro;
  • 100 grammi di farina 00 (circa, ne ho usati 50). Dose abbondante, ma meglio lavorare in dosi abbondanti;
  • 200 grammi di pangrattato (circa, ne ho usati 100). Stesso discorso della farina: meglio lavorare in dosi abbondanti.
  • 4 uova (100 grammi usati effettivamente). Stesso discorso della farina e del pangrattato:
  • sale.

Ritratto di una stronza:

Dobbiamo tagliarla a fette. Non troppo sottili, non troppo spesse.
Tipo così:

Non friggiamo la testa ed il culo.
Però ti consiglio di non buttare i resti delle verdure: io ormai uso qualsiasi cosa per preparare i brodi vegetali.

Metti queste fette sopra una gratella e sotto la gratella metti una teglia.
Non hai la gratella né la teglia? A parte che sei sfigato, puoi sempre usare uno scolapasta messo sopra una pentola (ce l’avrai uno scolapasta, no?).

Ora sala ogni singola fetta. Non è che devi INONDARLE di sale, ne basta poco. Poi sopra alle melanzane appoggia dei pesi.

Lascia riposare le melanzane almeno un’ora. Due è anche meglio.
Quando tornerai le melanzane avranno rilasciato un po’ di liquido. In parte sarà sulla teglia ed in parte proprio sopra la melanzana.

Ora devi solo tamponare ogni fetta con un po’ di carta assorbente, cercando di togliere tutta l’acqua. Puoi anche usare un panno (pulito). Basta che togli quella cazzo di acqua.

Adesso prepara l’occorrente per la panatura.

In un piatto versa la farina.
In un piatto il pangrattato.
In un altro piatto 4 uova sbattute, con un po’ di sale.

Prendi una fetta di melanzana e passala nella farina. Cerca di fare aderire anche sui bordi (anche se non sarà facilissimo).

Passiamo ora la fetta nell’uovo e ricordati sempre i bordi.

Infine anche nel pangrattato.
Devo ancora ricordarti i bordi o hai capito il concetto?

Alla fine avrai un sacco di cose del genere:

Siamo pronti per friggere.
Versa l’olio nella padella che hai deciso di usare, accendi una fiamma media e scalda l’olio. 
Nel frattempo prepara un po’ di piatti coperti da carta assorbente.

Come fai a sapere se l’olio è pronto? Certo, puoi fare la prova dello stecchino e vedere se fa le bollicine. Ma fai prima a gettare un pizzico di pangrattato dentro: se frigge, ci siamo. 

E se ci siamo puoi immergere le fette di melanzane. Comincia con una sola: quando frigge in maniera decisa, puoi aggiungerne altre. Ma non tante, sennò perde temperatura. Ricordati di ascoltare l’olio, sarà lui a borbottare a ritmo. Se borbotta troppo, la temperatura è troppo alta e bruci tutto. Se tace la temperatura è troppo bassa e la frittura saprà solo di olio. 

Ti consiglio di friggere con fiamma bassa: non occorre affatto un lanciafiamme.
Questo non significa friggere con una temperatura bassa, eh, l’olio deve FRIGGERE. Significa solo che se usi il lanciafiamme, la alzerai troppo, ‘sta cazzo di temperatura e brucerai tutto il santopadre.

Gira le cotolette un paio di volte, devi toglierle quando hanno una bella abbronzatura su ogni lato.

Adagiale poi sulla carta assorbente.

Lo vedi tutto quell’olio? Sarà sempre di più. Mentre friggi, occupati delle melanzane già fritte e cambia loro la carta. Ne userai tanta, è uno spreco, ma poi mangerai bene.

Qui ci siamo quasi:

Finito. È stato un viaggio interminabile, ma possiamo mangiare.

Ecco cosa dovresti avere davanti a te:

Ciao e buon appetito!

Torta rustica con ricotta e pomodorini

Pasta matta, pasta brisè, frolla salata. Non so cosa stiamo per preparare, so solo che uso quest’impasto per tutte le torte rustiche e secondo me è buonissimo.

E poi lo sai che non è che sia proprio interessatissima a queste formalità.

In realtà questo pippone sulla differenza dei vari impasti l’avevo già scritto in questo post qui e quindi non mi ripeterò, non è cambiato un cazzo.
Così come non è cambiato il mio invito ad evitare i rotoli di sfoglia che si comprano al supermercato, almeno ogni tanto. Sono tanto comodi quanto fan cagare e nonostante anche a me capiti di usarli, rifarsi la bocca con una roba fatta con le proprie manine di merda ci sta.

Mario, non comprare stronzate.

Ricetta a parte, questo è proprio un periodo strano. Sarà l’epidemia da fallout, saran le mascherine che non servono ad un cazzo ma che indosso lo stesso perché non si sa mai, sarà la primavera ma io mi sento irrequieta.
Alcuni giorni ho talmente tanta energia da spaccare il mondo.
Altri mi sveglio e già mi sono rotta i coglioni. Faccio trazioni e mi rompo i coglioni, alzo pesi e mi rompo i coglioni, salto la corta e mi rompo i coglioni.

Giorni in cui mi gira male, giorni in cui tutto mi sembra positivo.
Ed è TUTTO uguale. Forse TROPPO uguale. Forse da TROPPO TEMPO SEMPRE UGUALE.

Giorni in cui nel cesso trovi la verità, altri in cui non c’è niente di niente.

Cazzo deve cambiare, poi, non saprei.
E ci ho pensato tanto, in questo periodo in cui si sta come d’autunno gli alberi le foglie.
Se già di norma, per me, l’esistenza ha un sapore vacuo, figurarsi ora, che per un raffreddore sta finendo il multiverso.
Tutto quello che ho fatto, faccio e farò non ha scopo. Lo dico da sempre ed ho cercato quindi di costruire meno possibile. Costruisci per demolire? Non direi. Io qui, a fare slalom tra impegni, doveri, mondo di merda.

Per una volta che parlo di roba seria…

Poi che rimane? Non molto. Un video di Gabbani visto a ripetizione, una passeggiata a guardar gli agnelli e i cavalli e le galline e i gatti, un film francese subbato in danese (perché noi italiani abbiamo i doppiatori più bravi del mondo, quindi i sottotitoli te li scordi), elucubrazioni mentali che di norma non esterno, curiosità spesso troppo spenta per tutto quello che mi circonda.
Le giornate sono tutte uguali, i mesi sono tutti uguali, gli anni sono tutti uguali.
Manca qualcosa che non esiste e che quando esiste ha breve durata. Quindi era illusione o noia travestita (lei è brava con le imitazioni, molto brava).  E quindi cazzo lo ricerchi a fare?
Meglio stare qui ad aspettare Godot, come faccio da quando ho imparato a respirare

Ma vaffanculo va, andiamo a mangiare.
Go, go, go! 

In cucina.

Per preparare una torta rustica con spinaci e ricotta, per uno stampo da 20 cm (ma puoi riempire anche una tortiera da 24 senza cambiare dosi, verrà solo più bassa), hai bisogno di parecchie cose.

Per la base:

  • 180 grammi di farina 00;
  • 90 grammi di burro ammorbidito;
  • 2 tuorli;
  • 20 grammi d’acqua fredda;
  • 5 grammi di zucchero;
  • 5 grammi di sale.

Per il ripieno:

  • 400 grammi di ricotta;
  • 300 grammi di pomodorini;
  • sale, pepe;
  • basilico.

No, non ho alcuna intenzione di fare un copia ed incolla dell’impasto, perché l’ho scritto 4358495834059834590348 volte.
Basta che clicchi quie trovi tutte le istruzioni, passo passo.

Facciamo dunque finta che hai fatto il tuo impasto e che l’hai fatto riposare in frigo. L’hai poi steso e adesso è nella tua tortiera che attende.
Metti la tortiera in frigorifero, accendi il forno a 190 gradi e prepariamo il ripieno.

Lava i pomodorini e tagliali a metà.

Ricotta in una ciotola, inizia a lavorarla con una forchetta unendo un po’ d’acqua. Dobbiamo formare una crema spalmabile, ma non buttare dentro una secchiata d’acqua perché se la fai troppo morbida non si torna più indietro.
Un paio di cucchiaiate per volta, lavori e valuti.
Unisci anche del sale, del pepe e delle foglie di basilico spezzettate con le mani.

Ora possiamo riempire la torta, tirala fuori dal frigo e versaci dentro la ricotta. Cerca di distribuirla in maniera omogenea.

Sopra adagia i pomodorini e salali un po’.

La pasta avanzata piegala su se stessa, come se stessi rimboccando le coperte ai pomodorini.

Ora inforniamo.
190 gradi per circa un’ora, ma siccome il mondo è un brutto posto devi starci dietro già dopo i primi 40 minuti. Perché magari il mio forno è debole ed il tuo ha un’aura potentissima, quindi la torta potrebbe carbonizzarsi.

Ecco il (brutto) risultato finale:

Ma tagliato a pezzi migliora, dai:

E nel piatto, poi, fa proprio la sua porca figura:

Ciao e buon appetito!

Pasta mit kirschtomaten und Jocca ( + Jojo Rabbit e la cioccolata degli eroici americani)

Adesso non è che io voglia rompere i coglioni agggggratis, però romperò i coglioni aggggratis.

Un po’ come questo tipo qui.

Sarà che io c’ho la MelGibsite, ma per me se giri un film ambientato in dato paese e in una data epoca, i tuoi personaggi devono parlare una lingua coerente alla tua scelta. In Francia non si parla in inglese, così come non si parla in inglese in Italia, nelle tribù elfiche e neppure nel villaggio dei Puffi. E nemmeno nella Germania Nazista.

Questo signore sta per bestemmiare in aramaico, non in spagnolo. Per esempio,

Ma gliela facciamo passare a JoJo Rabbit: in fin dei conti ha un tono surreale e tante, troppe cose non sono accadute in questa favoletta un po’ nera che ci vuole raccontare.
Quindi OK, VA BENE, SORVOLIAMO.
Però su certe robe non si può proprio chiudere un occhio e per il solito motivo: 1984 voleva essere un monito e non un libretto d’istruzioni. Dunque TU I GRAMMI DI CIOCCOLATA NON ME LI CAMBI.

Se non sai di cosa sto parlando, almeno guardati il film.

Perché se la vita assomiglia per niente ad una scatola di cioccolatini, la seconda guerra mondiale non si è conclusa con un carrarmato vero e con una (scusa se sono ripetitiva) tavoletta di cioccolata regalata a tutti i bambini della città.
Gli Americani non hanno liberato l’Italia, non hanno liberato i campi di concentramento e no: gli Americani non hanno combattuto a Berlino negli ultimi giorni del Terzo Reich.

Può essere vero. Ma da che pulpito.

È senz’altro vero che a Berlino c’era guerra, ma i protagonisti erano i cazzo di SOVIETICI. I COMUNISTI. Quelli che mangiavano i bambini, per capirci.
Guerra per le strade in cui nessuno parlava inglese, ma tedesco e russo.
Gli americani sai che facevano?
Gli americani bombardavano. Distruggevano le città, massacravano i civili.
E mica solo in Germania: pure in Italia.

Pensa che dicono che bombardavi pure le città.

Ora, non è che uno voglia dire Meglio i Nazisti. Se capisci così, chiaramente capisci un cazzo. Quello che Pizzakaiju ti sta raccontando è la fredda cronaca degli eventi: i fatti avvengono, poi noi stiamo qui ad elaborarli, ad attribuire importanza, a filosofeggiare, a imparare. Però se i fatti vengono cambiati poi è un casino per tutti.
Quindi ribadiamo il concetto, giusto un attimo prima di andare a mangiare.
Auschwitz e quei bei posti sono stati liberati dai sovietici. E sai come funzionava? Circa così: i sovietici entravano, trovavano i campi vuoti dai nazisti (già fuggiti), dicevano Ok, siete liberi (e non in italiano e probabilmente non dicevano OK) e se ne andavano. I prigionieri? Cazzi loro, dovevano tornare a casa come riuscivano e se riuscivano.
Gli americani? Non pervenuti.

Pure io, ribadiamolo.

E in Italia? Anche se ci piace crederlo, noi non eravamo INVASI da tedeschi e fascisti. Noi eravamo i fascisti e i tedeschi erano nostri amici. Poi siamo i soliti paraculi, abbiamo fatto un po’ di casino e ad un certo punto non si capiva più chi comandava cosa e quindi è scoppiata la guerra civile. Guerra civile tra ITALIANI.
Gli Americani? Bombardavano le città italiane (della devastazione di Bologna e dei civili massacrati vogliamo parlarne?) e basta.
Eroismo americano? Non pervenuto.

E si sa che gli Americani hanno il potere di bombardare i paesi di tutto il mondo, per portare la pace.

Aggiungerei un parere squisitamente personale: bombardare le città (distruggendo opere d’arte, case, massacrando civili) non solo ha pochissimo di eroico, ma aiuta niente e nessuno in nessun modo.
Hitler, nella sua follia megalomane, per lo meno desiderava avere tutto il patrimonio artistico umano  nel Terzo Reich e non era d’accordo coi bombardamenti aerei (nonostante un bombardamento almeno ci sia stato, ma penso pure che chi l’ha deciso sia stato decapitato all’istante).

Immagino con reazioni simili.

Questo così, su due piedi, senza manco aprire la pagina di Wikipedia.
Perché dovrebbero essere info proprio BASE, le addizioni e le sottrazioni della storia recente, insomma.
Poi c’è pure il fatto che se i Sovietici NON mangiavano i bambini, se gli ebrei NON dormivano a testa in giù come i pipistrelli e se gli inglesi NON scopavano i  nostri cani, i Nazisti molto probabilmente NON facevano tante, troppe cose. Tipo fabbricare lampade di pelle umana.
Ma so che non sei pronto a questo.
So che hai fame.

Infatti, andiamo a mangiare che è meglio.

Oggi prepariamo una pasta discutibile, ma era dalla caduta del Muro di Berlino che non mangiavo la Jocca e mi andava proprio di inserirle in una ricetta.
Magari provala quando farà un caldo da Pazuzu, c’avrai voglia di cucinare una ceppa, tuttavia dovrai pur nutrirti.
Go, go, go!

In cucina!

Ed oggi da Pizzakaiju si parla tedesco. Così, perché mi va.

Per preparare la pasta mit kirschtomaten und Jocca, per due persone, hai bisogno di:

  • 180 grammi di pasta. E fin qui tutto bene;
  • 400 grammi di kirschtomaten gialli e rossi. In italiano sono i pomodorini;
  • 2 confezioni di Jocca. Jocca si chiama Jocca in ogni lingua, persino in Antico Elfico;
  • un lauchzwiebel con tutta la parte verde. Per i non poliglotti: è un cipollotto.
  • 10 grammi di natives Olivenöl extra. Ossia 10 grammi di olio extra vergine di oliva;
  • salz. Che è il sale;
  • se ce l’hai, del basilikum sarebbe gradito. Dai, questa è facile, ci arrivi da solo.

Trita il lauchzwiebel.
Lava i kirschtomaten e tagliali a metà, oppure in 4 se sono enormi.

Metti a bollire l’acqua della pasta.
Prima di iniziare, ti presento la Jocca.

Di cosa sa? D’un cazzo. Però è piacevole, a suo modo. Puoi  usarla con o senza lattosio, la differenza è minima: sempre plastica stai per ingerire.

Versa in padella i 10 grammi di natives Olivenöl extra e caccia dentro pure il lauchzwiebel tritato.

Fai soffriggere a fiamma bassa per qualche minuto, finché il lauchzwiebel sarà bello colorato.
A quel punto getta dentro anche i kirschtomaten.

Puoi anche buttare la pasta, ci vorrà pochissimo.

Se hai il basilikum è tempo di usarlo (mettine qualche foglia, spezzettandola con le dita).
Non mettere ancora il sale e fai cuocere a fiamma media per massimo 5 minuti: non dobbiamo formare un sugo, dobbiamo solo ammorbidire i pomodorini.
Appena vedi che cominciano a cacciare un po’ d’acqua spegni.
A quel punto puoi aggiungere il sale.

Ti faccio vedere in foto: una cottura davvero MINIMA.

Scola la pasta un minuto prima del tempo indicato sulla confezione, senza buttare la sua acqua perché non si sa mai.

Buttala in padella e concludiamo la cottura.

Solito procedimento: fiamma medio alta, mescola di continuo. Non ci sarà bisogno, ma nel caso aggiungi acqua.
Spegni la fiamma e passiamo alla jocca. Aggiungine un cucchiaio direttamente in padella giusto per formare una cremosità. Sappi che col colore perderà ogni sapore, quindi proprio un cucchiaio.

Prepara le porzioni e su ogni piatto aggiungi tutta la jocca del mondo. Se hai del basilikum, aggiungi ancora qualche foglia.

Ecco cosa dovresti avere davanti a te:

Hallo und genieße dein Essen!