Crema di zucca con ricotta d’accompagnamento (e deliri alla ricerca del boh).

Stavo là a sudare e pedalare e parte questo pezzo qui. Ascoltalo pure te, sennò mi tocca parlare da sola.
 

Intanto io mi bevo qualcosa di caldo.

 
Lo conoscevo, eppure non è che gli avessi mai dato troppo retta. Le persone, normalmente, direbbero che l’avevo già sentito, solo che non l’avevo mai ascoltato.
Ma a me questa differenza tra il sentire e l’ascoltare, dando per scontato che l’ascoltare sia più profondo del sentire, mi è sempre suonata storta.
Sì, l’ascoltare è dare peso alle parole, analizzarle, decodificare, comprendere per davvero.
Ma il sentirle significa farle proprie, riuscire a percepire un’emozione – che ti commuove o ti indigna o ti impaurisce – che ti avvicina all’interlocutore. O te ne allontana, per un moto di repulsione.
Il sentire è qualcosa di profondamente più umano dell’ascoltare. È viscerale, ti prende anche solo per un attimo, ma in quell’attimo non è più il cervello a comandare. Cosa sia, però, non so dirlo.
 

Sì, oggi va così. Discorsi random, senza molta logica. Rassegnati.

Ecco, io non lo so se ho compreso il testo di questa canzone e forse non ha nemmeno poi tanta importanza. Quello che so è che, per un attimo, mi sono sentita anche io un fesso. Anche io mi sono ritrovata a scrutare un qualcosa che forse era nefasto, ma forse anche no.
Forse in ogni cosa ci sono significati nascosti e punti di vista opposti, forse davvero si può vedere il buono nel cattivo e viceversa. Un fuoco sulla collina può rappresentare l’idea (anzi, quasi la certezza) di una battaglia vittoriosa per chi sente forse un impeto alla vita diverso da me. Non più vivo, non più vigoroso, solo diverso. Ma un fuoco può rappresentare pure tranquillità, pace, quella pace che ogni tanto descrivono i personaggi di Pavese quando tornano a casa e l’ulivo è ancora là, dove lo si era lasciato quando si è partiti. O forse l’ulivo era stato abbattuto (era malato, sapete?), ma la quiete di quel posto che pare sempre immobile è così rimbombante da schiacciarti. A te, che sempre sei andato per il mondo a cercare del boh e dal mondo sei tornato con in saccoccia una risposta che non c’è.
Forse forse forse la risposta è proprio in quel fuoco che forse forse forse fuoco non è. Forse.
 

Eddai, che sto provando a fare un discorso. Dammi dello scemo, ma solo quando sei arrivato alla fine, su.

Mi piace l’idea di quest’uomo senza volto, come se ognuno di noi potesse essere agitato e mite, a seconda dell’attimo. Romantici e fessi quando l’animo ce lo permette, impetuosi e pronti ad imbracciare il fucile il resto del tempo.
Perché forse è più semplice prepararsi per una battaglia o riempire una valigia piuttosto che placare l’impazienza e raccogliere la lucidità per analizzare l’orizzonte senza per forza corrergli incontro.
 

Ho quasi finito, giuro.

Spesso mi viene in mente l’immagine del prenditore nel Giovane Holden (romanzo che non mi è mai piaciuto, ma mi piace La Collina di Guccini).
Mi piace l’immagine – e a chi non piace? – di tutti quei bambini che si abbandonano alla collina, incuranti del potenziale pericolo che li attende a fine corsa. Anche loro, sicuro, alla ricerca del boh. Ed il prenditore che si affanna per acchiapparli tutti, per non farli precipitare per leternità, per salvarli dall’ignoto che quel boh, per lui, rappresenta.
Non so manco come si possa tradurre l’immagine, cosa volesse dirmi l’autore. Ma quando rifletto sulle radici, il partire, il cercare un significato, il tentare di mantenere un controllo di sé (insomma, quando rifletto sul boh) il prenditore – con il suo sudore e le sue corse incessanti al di sotto della collina – è un collegamento quasi spontaneo.
 
Una persona che conoscevo tanto tempo fa una volta mi ha detto, osservando i miei spostamenti casuali, che qualcuno doveva pur stare a guardare il faro. Non lo capivo, parlava e parlava e parlava di progetti incredibili, ma poi non si muoveva. Mai. E come lo raggiungi, quel boh là, se non ti muovi mai?
Oggi che anche io custodisco bene il faro, cercando di illuminare il mio orizzonte e – forse, per sbaglio – illuminando involontariamente il cammino di chi passa di lì, ora un po’ lo capisco. Ai tempi, come già Guccini ha scritto molto meglio di qualsiasi frase che potrei tirare fuori io, confondevo i sogni con l’azione del partire (e questo sì, se ti capita, è proprio il mio pezzo preferito di una vita).
Il boh lo trovi pure nella tua veranda, perché tanto probabilmente manco esiste.
 

Ora che ti ho subissato di stronzate ti sarà venuta fame e quindi ti propongo una crema di zucca, con ricotta da servire a parte.

Chi becca la citazione riceverà una fetta di pizza. Arriverà fredda, ma tanto è quasi più buona.

A differenza di quando prepariamo le vellutate, il risultato deve essere molto più denso. Ma sarà facile.
Go, go, go!

In 40 minuti si mangia.

Per preparare una crema di zucca, per due persone, hai bisogno di:

  • un chilo di zucca, peso calcolato dopo la pulizia. Difficile dirti quanta acquistarne, dipende dal tipo di zucca. Almeno un chilo e mezzo, con quelle super coccione e con tanti semi;
  • 20+15 grammidi burro;
  • una cipolla rossa;
  • uno spicchio d’aglio;
  • un po’ di foglie di salvia;
  • rosmarino secco;
  • 300-350 grammi di ricotta (del tipo che vuoi);
  • sale, pepe.

Riempi una pentola d’acqua e mettila a bollire. 
Mentre aspettiamo le bolle prepariamo gli altri ingredienti.

Pulisci la zucca togliendo la buccia, i semi e le parti più filamentose. Tagliala poi a cubetti piccoli: più piccoli saranno e prima si cuoceranno.

Riduci a pezzetti pure la cipolla.

L’acqua bolle?
Partiamo.

In una pentola mettici dentro 20 grammi di burro, la cipolla, la salvia, un po’ di rosmarino e pure uno spicchio d’aglio schiacciato, ancora in camicia.

Fai ammorbidire bene la cipolla, usando una fiamma media e girando spesso.
Ci vorranno pochi minuti.

Togli l’aglio con una pinza e caccia dentro la zucca. Falla insaporire bene, mescolando tutto. Poi aggiungi acqua, non tantissima. Anzi, POCHISSIMA. Non deve coprire la zucca e l’idea è quella di cuocere praticamente a vapore. Il mio consiglio è di aggiungere una mestolata alla volta, quel tanto che basta per avere un dito d’acqua. Quando evapora, ne aggiungi altra.
La zucca cuocerà in circa 20 minuti, coperta, con fiamma media.

Aggiungi sale solo a fine cottura, poiché prima le farebbe cacciare acqua. E a noi serve una crema asciutta. 

A fine cottura sarà così e l’acqua è abbastanza rappresentativa: pochissima, come per tutto il procedimento. 


Trita la zucca con un mixer ad immersione.

Aggiungi 15 grammi di burro, del pepe (o del peperoncino) e mescola il tutto benissimo. Assaggia, aggiusta di sale se occorre.

Ecco un’idea della consistenza:

Fosse troppo liquida, rimettiti sulla fiamma e fai evaporare. Altrimenti goditi potere e bellezza delle tue ginocchia e vai a mangiare.

Prepara le scodelle e sopra ogni porzione aggiungi la ricotta. 
Spolvera con del pepe o col peperoncino.

Ora siediti e mangia, te lo sei meritato.
Ciao e buon appetito!