Dopo un lustro passato a leggere giusto le scatole dei cereali durante la colazione, nell’ultima settimana ho aperto le pagine di un libro.

Reazione comprensibile.
Grazie a questo improvviso desiderio culturale ho scoperto che non solo io non so assolutamente niente del mondo che mi circonda (io non so manco perché piove, per dire), ma non è che gli scienziati siano messi molto meglio di me.
Sì, perché il libro in questione è un saggio che si intitola Breve storia di (quasi) tutto (e se clicchi qui te lo puoi leggere anche tu).
Breve un cazzo, perché sono quasi 1400 pagine ed io sono solo a pagina 500, ma già basta per dirti che leggerlo è divertente, sì, ma il tutto ti alimenta delle paure che non puoi gestire.

Nervosetta?
Al capitolo dedicato ai planetoidi (che fino a ieri chiamavo asteroidi ma ora sono una persona meglio e me la meno, anche) io non ci sto capendo più niente.
Devi sapere che anche se noi non li vediamo a occhio nudo, siamo letteralmente circondati da questi planetoidi. In sostanza dei massi (alcuni enormi, altri meno) che ci volano di fianco, ad una velocità totale.
Per circondati intendo che sembra che non sappiamo manco quanti siano: migliaia? Milioni? E ogni settimana almeno due o tre ci passano davvero vicinissimo.
E lo sai che cosa accadrebbe se anche uno solo di questi decidesse di caderci in testa?
Moriremmo tutti. TUTTI.

Se ci rifletti a lungo, l’unico rifugio è la pazzia.
Non solo è praticamente impossibile sapere se e quando uno di questi planetoidi ci cadrà in testa, ma pure se lo sapessimo non potremmo farci niente. Inutile che cerchi il numero di telefono della piattaforma di trivellazione più vicina: là sopra non ci troverai Bruce Willis, ed anche se fosse il geniale piano di Armageddon è proprio una roba infattibile. Pensa che non possediamo manco più i progetti per costruire razzi che possano aiutarci in qualche maniera, quindi staremmo solo qui ad aspettare la morte.
Perché o muori per l’impatto, o muori incendiato a causa degli spostamenti dovuti al botto. Oppure ci penserà uno tsunami o un terremoto o cazzo ne so. Quello che l’autore del libro scrive è che non c’è scampo e basta. E descrive pure tutto il processo.
Ecco un’idea:
“È stato stimato che alla fine del primo giorno sarebbero morte almeno un miliardo e mezzo di persone. L’enorme perturbazione della ionosfera farebbe saltare tutti i sistemi di comunicazione, dappertutto: i sopravvissuti quindi non avrebbero la minima idea di che cosa succeda altrove, né saprebbero da che parte fuggire. E comunque non farebbe una grande differenza. Come ha detto un giornalista, darsi alla fuga significherebbe «preferire una morte lenta a una rapida. Qualsiasi plausibile tentativo di migrazione influenzerebbe ben poco il bilancio delle vittime: la capacità della Terra di alimentare la vita, infatti, sarebbe universalmente diminuita»”
La quantità di fuliggine e ceneri sospese, alzate dall’impatto e dagli incendi successivi, oscurerebbe il Sole di sicuro per mesi, forse anche per anni, sconvolgendo i cicli vitali”.

Complimenti per la reazione vulcaniana, io a questo punto stavo leggendo cercando di non piangere.
A tutto questo si può reagire in due modi:
- che bella la vita, ogni secondo è un dono, gioia, gioia, giubilo, felicità.
- nel mio.
Già pensavo che l’esistenza del singolo fosse priva di significato ed ho cercato, in tutte le scelte della mia vita, di allontanarmi più possibile dal dovere per cercare solo il piacere. Non intendo i piaceri sfrenati, le orge e chissà cosa: solo lo stare meglio possibile, tentando di allontanare tutti quegli obblighi sociali che pervadono le vite di tutti. Dal cenone di Natale al procreare.
Ho sempre creduto nell’evoluzione personale ed ho anche sempre pensato che dall’evoluzione del singolo anche l’umanità tutta, un passo alla volta, migliori a sua volta.
Ho sempre anche creduto che l’estinzione per mano umana (quella alla Fallout) non sia un destino segnato: proprio grazie all’evoluzione dei singoli esseri umani si può arrivare ad evitare funghi atomici e simili.
Quanta ingenuità. Una volta appurato che la nostra estinzione sarà quasi certa, perché prima o poi uno di questi planetoidi ci cadrà pur in testa… a che serve il miglioramento collettivo? E quello singolo? A che pro sperare in un futuro, o in un qualsiasi cosa che non sia l’egoistico qui e ora?

Indeed.
Abbiamo trasmesso: primo esperimento di pensieri random da Kaiju.
Oggi erano planetoidi, domani chissà.
Ed ora andiamo a friggere l’Asiago, che l’esistenza è frivola e sfuggevole quanto vogliamo ma la fame è fame.
Go, go, go!

Come ogni volta che mangiamo fritto, inizia ad allenarti che lo sai come va.
Ho rubato la ricetta ad Apriti Sesamo e mica adesso: era luglio. Da luglio questo Asiago è rimasto nel freezer, infarinato e pronto per essere gettato nell’olio.
Non c’è bisogno però di tenerlo per davvero 4 mesi a ghiacciare: 8 ore dovrebbero essere più che sufficienti.
Per preparare l’Asiago fritto hai bisogno di:
- un pezzo di Asiago. Cercalo della forma più regolare possibile e spesso almeno un dito;
- olio per friggere. Come sempre, ti consiglio di usare l’olio extravergine di oliva e non quello di semi: è più leggero e soprattutto è praticamente impossibile da bruciare. Per noi che sbagliamo più che volentieri, incontrare meno difficoltà è cosa gradita;
- farina e un foglio di carta da forno.
Intanto le presentazioni: ecco l’Asiago.
Nonostante i consigli che ti ho dato più sopra, il mio pezzo non era affatto omogeneo. Spesso un dito da una parte, quasi invisibile nella parte finale. Ma questo avevo e con questo mi sono arrangiata.
Avvolgilo in carta da forno e mettilo in freezer per 4 ore.
Esaurito questo tempo sciacqualo bene in acqua fredda, poi infarinalo in ogni suo lato.
Mettilo in freezer, sempre avvolto dalla stessa carta da forno, per altre 4 ore.
Si tratta di una frittura ad immersione, quindi riempi la padella (o il wok o il pentolino o boh) che usi per friggere e comincia a scaldare l’olio. Fiamma media.
Fai la prova con un po’ di farina: se la cacci dentro ed inizia a friggere, l’olio è pronto per accogliere il formaggio.
Preleva l’Asiago dal freezer e molto delicatamente posalo nell’olio.
Attenta alle dita e, se come me sei scema ed hai riempito troppo il padellino, fai un passo indietro quando sarai costretta a lanciarlo per immergerlo in modo definitivo.
Il formaggio dovrà friggere per 3 minuti MASSIMO e dovrai girarlo una volta sola.
Non prolungare più di tanto la cottura perché è formaggio: si scioglie, dopo un po’.
Se dico 3 minuti massimo, intendo proprio questo, alla lettera.
Dopo che l’hai girato una volta usando un paio di palette, conta 30 secondi, poi tiralo fuori.
Non usare la pinza per tirarlo fuori: si spappolerebbe.
Non posarlo su carta assorbente: il formaggio con ogni probabilità ci si attaccherebbe sopra. Così niente olio in eccesso, ma addio anche a tanto prezioso Asiago.
Ecco l’aspetto del mio:
Ed ecco una versione tagliata, dove si vede che il formaggio c’è pure se cerca di nascondersi:
Basta per cenarci? È piuttosto pesante. Io ci ho accompagnato un paio di gamberetti sempre fritti, perché volevo che il mio fegato si rendesse conto che gli scansafatiche non sono ben accetti, da queste parti.
Ciao e buon appetito!
Insomma un articolo alla godiamocela ché di doman non c’è certezza 😀
Ahah be’ ti dirò che mi hai fatto venir voglia di fregarmene dei jeans che stringono e di friggere un pezzo di asiago perciò… missione compiuta!
PS: io ho rivisto di recente Deep impact. Così, per dire 😀
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Questo è la spirito, mi sa! 😀
Io non ci riesco, ma se qualcuno riesce a prenderla con leggerezza… ha vinto! Che brutto Deep Impact! Però c’è Robert Duvall e gli si vuole bene lo stesso.
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